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Giu

È il luogo più misterioso di Agrigento ma sarebbe un belvedere da favola: scopriamolo

Fra tutte le bellezze agrigentine questo sito è uno di meno conosciuti al grande pubblico, ma ha una storia molto antica, si trova su un costone roccioso e andrebbe valorizzato

Della collina della Rupe Atenea, dei misteri di una strana villa, di alcune grotte incavate nella montagna, e della solitudine che Agrigento offre a chi voglia goderne di faccia a un paesaggio strabiliante che domina per intero la costa, ne abbiamo già parlato in una cronachetta precedente.

Quel percorso accidentato, in cui l’emozione si confondeva con la storia, lambiva solo una parte della collina, ché se avesse voluto percorrerla tutta si sarebbe trovato a un cammino caratterizzato prevalentemente dalla rigogliosa vegetazione spontanea.

Da lì si osserva con nettezza la lunga fila d’alberi del Viale della Vittoria, l’antica passeggiata pubblica, divenuta da più di un secolo l’arteria principale della nuova e più grande Agrigento, destinata ad accogliere una parte delle nuove infrastrutture che si concludevano nell’enorme complesso dell’ex Ospedale Psichiatrico: un viale perfetto per le sfilate del regime che avrebbe dovuto spezzare le reni alla Grecia.

L’interesse per il Viale della Vittoria era probabilmente dovuto al fatto di concentrare in sé tutti gli aspetti che vengono ricondotti tradizionalmente all’urbanistica fascista: accanto alla città medievale, la cui oscura densità si oppone alle bellezze antiche della valle dei Templi, l’architettura moderna poteva impiantare un viale monumentale, punteggiato di edifici pubblici, decorato da un parco, con sbocco sul Piazzale della Stazione raccordato con la Piazza del Governo.

Tutto ciò è uno sguardo lontano, dalla Rupe Atenea, mentre il silenzio di questo luogo non è mai intercettato dal brusio della città a valle, e il solo punto di contatto fra questi due piccoli mondi occlusi sembra essere una porzione del muro perimetrale a scala proprio dell’ex Ospedale Psichiatrico, che dal basso, lungo una serie di tornati e di affacci sul mare, arriva quasi fino in cima, delimitandone l’area.

È proprio fra questo limite e il pianoro della Rupe, che si apre dopo la serie degli aggrottamenti arenari, che è possibile distinguere un luogo che di tutta Agrigento è certamente il meno conosciuto, il più impervio, per certi aspetti il più misterioso.

Già, perché se non si sapesse cos’è, quel posto, l’occhio non potrebbe assegnargli un’identità chiara, una destinazione precisa, un’origine certa. Ha la forma di un lungo viale oblungo che si diparte da una pregevolissima struttura rettangolare, abbandonata, senza più i tetti, con un ampio accesso e due finestre frontali ad arco.

A percorrerlo, quel corridoio di terra visibilmente artificiale, si arriva poi al fondo di una strana parete vagamente rettangolare, anch’essa formata dalla mano dell’uomo. Ma il mistero è presto sciolto, perché ci troviamo all’ex Tiro a Segno Miliare di Agrigento. Dopo l’Unità d’Italia, con il Regio Decreto dell’ 11 Agosto 1861, vengono istituiti in tutte le città del regno i tiri a segno nazionali con il triplice scopo di distogliere la gioventù dai «frivoli giuochi», abituarla al maneggio nobile delle armi e offrire occasione di fraternizzazione virile.

L’Unione Italiana di Tiro a Segno assolve i suoi compiti istituzionali mediante esercitazioni di tiro al bersaglio, in luoghi che si chiamano “poligoni di tiro”, che debbono rispondere alla condizione per cui i proiettili sparati non rechino danni a cose o persone. Nella città di Agrigento viene istituita una Società di Tiro a Segno nel 1883, e tuttavia all’Archivio Storico del Comune si trovano poche informazioni riguardo la data certa di costruzione del Tiro a Segno della Rupe Atenea – che era il luogo ideale prescelto - nonostante esista un atto di esproprio, del 1927, dei terreni occorrenti per la costruzione. È possibile ipotizzare che questo poligono fu costruito tra la fine dell’800 e il 1930, anno in cui viene ultimata la costruzione dell’Ospedale Psichiatrico.

Il Tiro a Segno si trova sul bordo del costone di roccia e occupa un'area di notevole interesse storico, architettonico e paesaggistico, la cui suggestiva posizione rende simile a una grande platea dalla quale è possibile ammirare lo splendido scenario sottostante della città che degrada fino ai Templi e ancora di più al mare. L’edificio militare sorge su un terreno di natura sabbioso, quasi tutta roccia emergente, e per la costruzione del campo di tiro - che misura 20 metri in larghezza per 200 metri in lunghezza - venne probabilmente usato il materiale estratto durante i lavori di sbancamento della roccia.

A Nord è delimitato da una parete di roccia tagliata verticalmente e a Sud da un lungo muro (in conci di calcarenite) irrobustito da contrafforti, tutto pensato per proteggere l’invaso dai venti che potevano deviare i proiettili durante le esercitazioni. Si tratta di un poligono chiuso che ha un unico ingresso a Ovest dove è posto l’edificio di testa (costruito in muratura portante) usato come deposito delle armi e alloggio del custode. Questa prima area del poligono, fino alla sua metà, probabilmente era lo spazio in cui

venivano preparate le armi prima delle esercitazioni. Nella parte centrale troviamo delle trincee in muratura, usate come postazioni di tiro, mentre nella parte finale vi è una montagnetta artificiale costituita da un cumulo di pietre, che fungeva da parapalle. Allo stato attuale l’intero edificio, in stato di abbandono e privo della copertura, risulta danneggiato da un incendio che ne ha distrutto parte degli intonaci e bruciato parte della muratura.

E però negli anni questo luogo è stato vissuto come ricovero fisso di un povero emarginato, una specie di fantasma sociale, che con l’ex Tiro a Segno era quasi diventato un’unica cosa. Affetto quasi certamente da monomania ossessiva, per cui una sola idea sembrava assorbire tutte le sue facoltà intellettuali, aveva un solo obiettivo smanioso: raccogliere in quel posto tutto il ferro che avrebbe potuto trovare in giro, e custodirlo in una sorta di folle installazione artistica.

Lavatrici, vasche da bagno, carcasse di auto, e un’infinità di fili attorcigliati come tralci di vite; e chissà come ha potuto portare lì tutta quella roba, in quel luogo così impervio e difficile, con quale immensa fatica e per quale ineffabile scopo. Dell’ex Tiro a Segno si è occupato a lungo, e bene, con un pregevolissimo studio che ha finito per diventare la sua tesi di laurea, l’architetto Ruggero Passarello, che vive proprio ai limiti di quella Rupe dorata.

Questo studio, che fa il punto sulla storia del posto con numerose tavole che ne ricostruiscono le vicende architettoniche, andrebbe meglio divulgato a richiamo di memoria di un sito tanto seducente quanto davvero pochissimo visitato.

È uno di quei posti dove non si arriva nemmeno per sbaglio, e dispiace vederlo in uno stato pietoso, quando potrebbe diventare molto altro; ed è proprio Ruggero Passarello che nelle conclusioni del suo lavoro ne suggerisce una possibile destinazione: «Il progetto prevede la riconversione dell’ex campo di tiro in un giardino belvedere sulla collina della Rupe Atenea che potrebbe essere ripensata, in questo contesto urbano, come un parco che valorizzi tutte le tracce storiche presenti sull’intero costone. Il progetto mira ad essere un’operazione di sintesi tra valori paesaggistici e storici dell’intera collina, proponendo nuove modalità di fruizione dello straordinario paesaggio circostante attraverso interventi di “riabilitazione culturale” dell’area, attualmente dismessa ed abbandonata.

L’intervento progettuale è inteso a valorizzare i ruderi dell’intero edificio accostando ad esso un nuovo linguaggio architettonico che dialoga con l’antico, seguendo in particolare il concetto di parallelismo tra due linee orizzontali, la antica e la nuova. La linea moderna si materializza con l’intento di ricucire le parti crollate del lungo muro, sino a diventare copertura del piccolo edificio di testata. La ricostruzione non vuole essere, pertanto, un tentativo di ripristino dell’architettura originaria, ma piuttosto un nuovo punto di osservazione privilegiato, in netto contrasto con la parte antica, che volutamente appare incompleta».

Si dovrebbe pensarlo proprio così, questo luogo incantevole, e di tutta Agrigento sarebbe un belvedere prezioso, la sommità fra terra e cielo, inondato dagli aromi meravigliosi della ruta e del finocchietto selvatico che lì crescono flabellati dal vento sotto il sole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: balarm.it