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22

Ott

Il fico d'india vola a New York: la storia di due giovani che scommettono sulla Sicilia

I due ragazzi hanno deciso di rimanere nella terra dove sono nati puntando tutto sull'agricoltura e dando così nuova vita ai sacrifici fatti in passato da genitori e nonni

Nel variegato paesaggio siciliano, in determinati momenti dell’anno, compaiono delle macchie di colore qua e là - dal verde all’arancio fino al magenta - che sono l’indizio dell’arrivo di uno dei frutti più eccezionali della coda dell’estate e dell’autunno.

Stiamo parlando del fico d’India, frutto dal nome esotico, che nel tempo è diventato simbolo della Sicilia e che oggi, grazie all’attività di una coppia di giovani di Santa Margherita del Bèlice, vuole varcare i confini regionali e giungere ovunque se ne apprezzi la ricercata qualità.

Quando questo frutto è pronto da gustare spuntano in alcuni angoli della Sicilia - a Palermo anche in qualche piazza del centro storico - anche dei banchetti di venditori ambulanti che offrono quello che potremmo definire quasi uno street food, nell’ambito della frutta, e che con gesti veloci e sapienti liberano dalla buccia spinosa questi scrigni di colore e bontà.

I più fortunati poi assisteranno a questa “magia” ascoltando, simultaneamente, il folcloristico ritornello: “Tagghiaci ‘a testa, tagghici a cura, accussi nesci a bedda signura”.

I due giovani siciliani di cui parlavamo prima sono Licia Armato Barone e Giovanni Bonanno che, da quattro anni, volendo rimanere nella terra dove sono nati, dando nuova vita ai sacrifici fatti in passato da genitori e nonni, hanno registrato il marchio “Baronessa del Belice”.

«Dopo la laurea di Licia - ci ha detto Giovanni - ci siamo trovati davanti al bivio di decidere cosa fare del nostro futuro. Avremmo potuto andare a Milano e cominciare lì una carriera che, inevitabilmente, avrebbe trascurato l’azienda di famiglia e tutti i sacrifici fatti finora. Ci siamo armati di coraggio, allora, e abbiamo deciso di puntare sull’agricoltura».

«La passione è un valore che si tramanda da padre in figlio nella famiglia Armato Barone: una passione tramandata da nonno Nicoló a papà Filippo e, infine, alla giovane Licia» - si legge sul sito dell’azienda, realizzato qualche mese fa, reso necessario dal periodo del lockdown, oggi risorsa per mettere in pratica l’e-commerce, il futuro dell’azienda.

«Presa questa decisione - continua Giovanni - abbiamo ristrutturato un capannone aSambuca di Sicilia, nell'Agrigentino, dove facciamo la spazzolatura dei frutti, abbiamo comprato un altro appezzamento di terreno e siamo partiti, pieni di grinta, per la nostra avventura, dando il nome di "Baronessa del Bèlice" in onore del cognome di Licia».

Oggi l’azienda conta oltre 10 ettari e circa 15 persone, tra familiari e non, impegnati nella coltivazione e, attività recentissima, nell’export.

«Proprio in queste ore stiamo realizzando la nostra prima spedizione negli Stati Uniti, aNew York; le difficoltà sono tante, non lo neghiamo, ma non ci abbattono; il nostro obiettivo, in futuro, è anche quello di diversificare l’impiego dei frutti».

I due giovani, che oltre alla passione e alla grinta sentono la responsabilità di un progetto comune da espandere in più direzioni, sono anche attenti osservatori di ciò che queste piante, e i loro frutti, hanno ancora da offrire all’uomo.

«La pianta di fico d’India per dare frutti buoni va periodicamente potata; mi sono accorto - ci ha detto Giovanni - che messe a dimora sopra il terreno le pale, essiccando, concimano il terreno e impediscono naturalmente la crescita delle erbacce, questo ci permette di non usare alcun tipo di pesticidi e mantenere umido il terreno, dettaglio che in estate fa la differenza».

Forse non tutti sanno, infatti, che questa pianta è l’unica per la quale non è necessario nessun pesticida per la sua crescita quindi l’intuizione di Giovanni contribuisce ad unacoltivazione più "naturale" possibile. Ed è l'unica pianta di cui non si butta via nulla.

«Nel nostro futuro, a cui già pensiamo, c’è di certo l’ampliamento del commercio all’estero ma anche la diversificazione delle lavorazioni dei frutti che normalmente scartiamo. I frutti che rimangono piccoli, dalla dimensione normalmente non richiesta dal mercato, sono comunque perfetti per realizzare succhi o marmellate. Su questo aspetto contiamo di operare presto».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: balarm.it